Presentazione del M° Claudio Raffi del CD “15 anni – Coro Antonio De Vecchi 1986 – 2001”
Mi è stato chiesto di “criticare” i due CD musicali realizzati dal coro De Vecchi. Lo faccio con piacere, poiché conosco la loro storia e la stima che hanno nei miei confronti. Dopo averli ascoltati più volte mi sono posto la domanda: Cui prodest?
È legittimo chiedersi: a chi serve un CD di canti realizzati da un coro “Amatoriale”? Per tentare una risposta conviene analizzare la realtà musicale partendo dal nostro territorio.
In questi ultimi dieci anni, circa, si è sentito il bisogno di riavvicinarsi al “coro” e alla vita sociale che implicitamente realizza, ma non solo, si è presa anche coscienza dello strumento voce, con tutti i problemi che vuol dire studiare canto: tecnica, stile, repertorio, vocalità appoggiata ecc…
Il canto non è solo una misteriosa alleanza tra parola e melodia, esso esprime sentimenti e significati precisi, che toccano la fantasia e la mente dell’ascoltatore.
Il canto appartiene all’uomo, lo testimonia il canto popolare che riflette – ieri più di oggi – le situazioni della vita. Cantava il contadino sui campi di lavoro, il boscaiolo, l’artigiano… Si cantava per tanti motivi, per farsi compagnia nel lavoro, per addormentare il bambino o per stare in compagni.
In ogni caso si cantava per amore, il desiderio, la speranza, la gloria e il tradimento.
Oggi questi aspetti sono cambiati, il coro amatoriale ha preso coscienza del grande problema dello “strumento voce”.
In passato rimaneva sottinteso e talora dato per scontato, mentre la “chiave” di una bella interpretazione sta principalmente nella ricerca di un giusto “colore sonoro“, adeguato e originale. È quindi necessaria una rigorosa preparazione vocale quale premessa indispensabile per fondere corrette interpretazioni musicali.
Queste poche considerazioni sono già sufficienti ad evidenziare quale elevato potenziale di problematiche e d’interessi coinvolge il “cantare in coro” e interpretare la musica corale.
Aspetti tecnici come: la respirazione, l’intonazione, il fraseggio e la dizione sono solo una piccola parte di un bagaglio professionale molto difficile da conquistare e utilizzare in modo appropriato, che però è fondamentale per una valutazione estetica.
La questione che ponevo all’inizio, trova forse la risposta nel monumentale lavoro fatto dal coro De Vecchi e dal suo direttore Luciano Bertuzzo. Lasciano a noi un “documento sonoro” a testimonianza di una loro ricerca umana e artistica.
A questo punto è inutile un giudizio critico-estetico, perché la misura della valutazione sconfina tra gli obiettivi sociali.
La nostra civiltà tecnologica è quella del rumore e della frenesia, dei massmedia e della musica di consumo, e fortemente imposta dalle multinazionali del disco.
I due CD, sono per certi aspetti, una “oasi sociale”, dove ogni persona sensibile, che sa guardare oltre l’apparenza, può scoprire aspetti che nobilitano la passione di tutte quelle persone che credono nella trasmissione di valori umani e culturali.
Dopo queste riflessioni, non serve più “criticare” il lavoro musicale, sarebbe fuori luogo. Dire che, dal punto di vista tecnico, un coro non può interpretare stili e generi così lontani tra loro senza cadere in difficoltà, è quasi una ovvietà. Non è questo il senso dei due CD, e quindi non va giudicato con critica severa, ma va visto come un atto di documentazione storica, che tiene traccia di un percorso fatto con grande entusiasmo, ma anche con tanta fatica.
Auguro al Coro De Vecchi di vivere la musica sempre con grande slancio e passione, perché nobilita se stessi e gli altri.
Al direttore Luciano Bertuzzo, auspico di continuare a trovare nella musica quella forza unica e misteriosa che aiuta ad esprimere la parte più nascosta della nostra sensibilità: l’Arte.
Con affetto. Claudio Raffi.